Nell’ambito della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena che conduce lo studio archeologico sul sito di Vetricella (Scarlino) e Carlappiano (Piombino) e l’Unità di Ricerca “Conservazione dei Beni Culturali” del Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena sono state analizzate malte provenienti da varie zone dell’area di scavo di Vetricella per l’individuazione di tecniche e fasi costruttive.
Le analisi mineralogico-petrografiche finora svolte hanno evidenziato che le malte oggetto di studio hanno una composizione sostanzialmente analoga (Fig.1). Si tratta di malte costituite da sola calce con variabili quantitativi di relitti di cottura dell’originaria pietra da calce o, al più, da calce accompagnata da un esiguo quantitativo di materiali non carbonatici, la cui quantità risulta talmente esigua da far talora dubitare sulla intenzionalità di una aggiunta vera e propria (rapporti tipici legante/aggregato di 3/1 o 2/1). Questo raro aggregato è rappresentato prevalentemente da frammenti silicoclastici (argilliti e siltiti) e litoclasti silicei (selce).
La presenza di abbondanti relitti di cottura nelle malte ha consentito di riferire l’originaria pietra da calce a travertino o calcareous tufa. Lamicrostruttura fortemente variegata di questi litotipi presenta una variabilità intrinseca e pertanto anche l’analisi del legante non ha permesso ulteriori suddivisioni tra i campioni. Vista la collocazione geografica in cui si trova il sito di Vetricella, si può ipotizzare che il materiale usato come pietra da calce provenga dai depositi di calcareous tufa presenti diffusamente nell’area di Massa Marittima.
Al momento rimangono alcuni punti da chiarire dal punto di vista tecnologico, sia relativamente alla notevole presenza di relitti di cottura (intenzionale o meno), sia sull’esigua presenza di materiali silicoclastici (non chiaro se dovuti a impurezze “terrose” presenti nella roccia calcarea utilizzata come materia prima o inglobati dalla calce nella fossa di spegnimento). Il continuo confronto dei risultati mineralogico-petrografici con quelli archeologici sicuramente darà queste e altre risposte allo studio in questione.
Come si denota dalla figura; dispersi nel legante sono osservabili i grumi di calcite microcristallina e gli abbondanti relitti di cottura dell’originaria pietra da clace.